Le tavole Pizzerie

Haccademia e il fare rete: l’evoluzione della pizzeria

Di pizze e impasti si può discutere all’infinito, incrociando le lame – metaforiche, si spera – in scontri all’ultimo sangue. Per una volta, però, pur parlando di una pizzeria, vorrei sorvolare sulla questione e puntare l’attenzione su altro: la volontà di affinare il prodotto con l’uso di ingredienti selezionati e il proposito, sempre lodevole, di fare rete.

Evito volutamente di usare la definizione “pizza gourmet”, che, a mio parere, non significa nulla e introduce una distinzione del tutto arbitraria tra ciò che la definizione indica e la pizza napoletana, quasi che quest’ultima non potesse, giammai, essere “gourmet”. Preferisco parlare di pizzaioli consapevoli che diventano selezionatori di ingredienti e che, così facendo, promuovono anche piccole realtà produttive campane lontane dai riflettori ma di grande valore.
È l’evoluzione della pizzeria, in corso ormai da diversi anni e che ha ridato il giusto valore al cibo-simbolo della Campania; evoluzione per la quale dobbiamo gratitudine ad alcuni pionieri, primo fra tutti Enzo Coccia.

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Haccademia è il ristorante – pizzeria di Terzigno, alle pendici del Vesuvio, in cui Aniello Falanga, patron e pizzaiolo, ha deciso di utilizzare ingredienti e prodotti di artigiani ignoti ai più che hanno così costituito una microrete virtuosa che include farine e formaggi, legumi, verdure, birre.
E così gli impasti sono prodotti con le farine di grani antichi, Romanella (grano tenero) e Senatore Cappelli (grano duro), fornite dall’azienda agricola a conduzione familiare di Gasperino Mirra a San Nicola Manfredi, nel beneventano, che coltiva anche grano Saragolla, mais, farro, segale, orzo, avena e legumi e macina a pietra in un piccolo mulino proprio, ottenendo una farina di tipo 1, ricca di nutrienti.

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È l’azienda di Antonio Troncone, allevatore e casaro, a fornire i formaggi a latte crudo, tra cui il prodotto di punta, il caciocavallo. In Val Fortore (BN), a 800 metri sul livello del mare, Antonio e la sua famiglia allevano al pascolo mucche di razze italiane alimentate con foraggi autoprodotti e si occupano della trasformazione del latte con metodi tradizionali.

Legumi e cereali provengono anche dall’azienda agricola La Rufesa, sempre in Val Fortore, e verdure e ortaggi da L’orto di Carmela, che avevo già conosciuto al Mercato della Terra della Costiera Sorrentina: Catello e Carmela, i titolari, hanno scelto di non utilizzare prodotti chimici e rispettare la stagionalità, puntando alla massima naturalità. Di loro produzione i carciofi di Schito che, arrostiti, sono approdati su un’ottima pizza di stagione in compagnia di pancetta e fior di latte.

Il pane, profumatissimo, è opera di Giuseppe Nappi, che lavora le farine di Gasperino Mirra. Appassionato di lievito madre, prepara soprattutto due tipi di pane: quello di mais bianco con aggiunta di grano tenero Romanella, e quello semintegrale a base di Romanella e Saragolla.

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Le birre che accompagnano le pizze sono artigianali e fornite da due minuscoli birrifici sanniti: Maestri del Sannio e Borrillo. Personalmente ho molto apprezzato la Romanella dei Maestri del Sannio, prodotta, ovviamente, con grano Romanella, estremamente fresca e piacevole.

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Quanto alle pizze, ottenere un impasto adeguato utilizzando farine di tipo 1 da grani con caratteristiche particolarissime ha richiesto ad Aniello Falanga impegno, studi e tentativi. Il risultato è una pizza dalla consistenza particolarmente tenace, che può non piacere a tutti. Io, che continuo a preferire l’impasto tradizionale napoletano, devo però dire due cose: il profumo del grano si avverte, ma non pregiudica in nulla il gusto degli ingredienti, ottimi, usati per la farcitura, come talvolta avviene in pizzerie in cui si usano farine integrali o semintegrali forse più per moda che per consapevolezza, con un esito finale che assomiglia piuttosto a una fetta di pane con qualcosa sopra. Credo, in altre parole, che qui si sia posta correttamente attenzione all’equilibrio del gusto.

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Montanara fritta e infornata

In più, credo di aver colto, da Haccademia, la passione e l’umiltà (l’umiltà più di tutto) con cui bisognerebbe accostarsi a queste sperimentazioni, senza ritenersi portatori del Verbo e sminuire il lavoro di altri, specialmente di coloro che sono o sono stati dei veri maestri dell’arte della pizza.

Piedi per terra, insomma, e volontà di collaborare e di esaltare il buono della Campania. Ottime basi per costruire un avvenire.

A destra, Aniello Falanga con suo figlio Nicola, addetto al forno. Da sinistra: Giuseppe Nappi, Gasperino Mirra, Armando Romito (Birrificio Maestri del Sannio), Antonio e Felice Troncone>/center>

A destra, Aniello Falanga con suo figlio Nicola, addetto al forno.
Da sinistra: Giuseppe Nappi, Gasperino Mirra, Armando Romito (Birrificio Maestri del Sannio), Antonio e Felice Troncone

Haccademia
Via Panoramica Vesuvio, 8
tel.333 116 3095
Terzigno (NA)

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Informazioni sull'autrice

giovanna esposito

Napoletana, scrivo di cibo dal 2008; ho cominciato con un blog di cucina, Lost in kitchen, poi, dal 2011 al 2016, sono stata tra i redattori del web magazine Gastronomia Mediterranea.
Nel 2015 ho pubblicato per Guido Tommasi Editore il volume "Gli aristopiatti. Storie e ricette della cucina aristocratica italiana", scritto a quattro mani con Lydia Capasso e illustrato da Gianluca Biscalchin. Con la stessa "squadra", ho pubblicato nell'aprile 2017 "Santa Pietanza. Tradizioni e ricette dei santi e delle loro feste". A settembre 2017 è uscito il piccolo ricettario "Pasta al forno", scritto con Lydia Capasso e con fotografie di Virginia Portioli, sempre per i tipi di Guido Tommasi.
Sono maestra assaggiatrice Onaf.

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