Prodotti, produttori

Storie di olio in Campania – Marsicani

“Ma perché, in Campania si fa l’olio?”
Cose che ci si sente chiedere, persino da qualche abitante di questa regione, a intervalli regolari. Per molte persone, l’olio è toscano, è umbro, è ligure, è pugliese. Eppure la Campania è una delle regioni italiane che producono più olive, che hanno una maggiore superficie olivetata e un grande patrimonio varietale: una sessantina le varietà censite, ma sono in crescita. Quanto ai marchi di tutela, ci sono cinque tipologie di olio a Denominazione di Origine Protetta e altre che aspirano a diventarlo. Per questo ho deciso di inaugurare una nuova sezione, che ho chiamato “Storie di olio in Campania”. Per questo e per motivi schiettamente sentimentali, per così dire. Amo gli ulivi, amo i pendii che gli ulivi arricchiscono e addolciscono e, per me, in gran parte, il paesaggio campano è questo: oliveti digradanti su sfondi azzurri, che siano mare o cielo.
E poi amo l’olio. Il suo profumo, che mi fa venir voglia di berlo, il suo sapore, il colore, la brillantezza; non starò a tediare nessuno con le sue mille virtù, che si spera tutti conoscano, perché questo è un viaggio sentimentale, appunto.

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Mi ero ripromessa, accingendomi a scrivere questo post, di non fare inutile (e banale) poesia. Anche perché la persona alla quale quest’articolo è dedicato di poesia ne fa poca. Si chiama Nicolangelo Marsicani, è una delle figure più note e apprezzate nel mondo dell’olio campano e tende ad essere giustamente concreto, disincantato e, all’occorrenza, polemico.
È coltivatore e frantoiano; erede di una tradizione che risale almeno al 1928 ma costantemente proteso verso il futuro e in cerca di nuove sfide. Produttore moderno, che rimarca più volte, nel corso della nostra conversazione, i limiti evidenti della produzione olearia del Cilento: l’attaccamento a metodi arcaici e l’incapacità di fare passi avanti, o piuttosto la mancanza di volontà in tal senso. Seduto nel suo frantoio in un pomeriggio di ottobre, esordisce col dire che si trova ad operare in un areale poverissimo, e questa è decisamente l’evidenza dei fatti: l’azienda è a Sicilì, frazione di Morigerati, tra le colline del Cilento meridionale, così meridionale che il confine con la Basilicata è a una quindicina di chilometri in linea d’aria. Il mare si nasconde a dieci chilometri, più o meno, sempre in linea d’aria.
E se l’areale è povero, il settore olio è uno dei più poveri in assoluto: le sue enormi potenzialità restano inespresse a causa dell’ignoranza, di una filiera non moderna, della scarsa attenzione da parte dei consumatori, delle politiche comunitarie.
Con queste premesse, che non mi sono certo nuove ma che provo a dimenticare, lo guardo e mi viene da chiedermi: che ci faccio, qui? Poi mi ricordo che è tra quei pochi che producono un olio di alta qualità, di quelli che ti piange il cuore a buttare in padella a casaccio, che devi dosare con cura e usare con oculatezza, di cui devi riconoscere e preservare gusto e profumo nelle preparazioni. Che ci faccio, qui? Ascolto la voce di chi produce il mio cibo e vengo a vedere il luogo in cui lo fa. Un posto di piccoli paesi spopolati, eppure benedetti dal clima e dalla bellezza, a un passo da quell’oasi WWF delle grotte del Bussento che mi propongo di visitare da anni, uno spettacolo della natura. Spopolati i paesi e abbandonati tanti uliveti, che la selva, racconta Marsicani, con tristezza, si sta riprendendo. Un’area con un ricco patrimonio olivicolo che finisce per scomparire mentre i suoi abitanti acquistano l’olio nei supermercati.

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Nicolangelo Marsicani definisce la propria azienda una piccola cattedrale nel deserto. E lo è, se si considera che il suo frantoio lavora anche per conto terzi, effettuando la molitura per produttori calabresi, laziali e persino per qualche toscano (“in clandestinità”, dice, ridendo) che avranno i loro validi motivi per portare le proprie olive fino a queste lande. Ma i clienti Marsicani li sceglie con attenzione, in base agli standard qualitativi: le olive devono essere perfette, che è la precondizione per ottenere un prodotto di alta qualità. L’altra condizione, e a quella pensa lui, è un frantoio pulito in maniera impeccabile. Per i clienti studia i profili sensoriali che desidera ottenere nel prodotto finito, tanto che, delle sette persone che lavorano in frantoio, tre sono assaggiatori, che cambiano continuamente. Ma la decisione finale spetta comunque a lui: “Per quanto io possa sembrare buono”, afferma, “in frantoio sono un orco”.
Va bene, gli orchi non mi spaventano. Appartengo alla categoria, anche se lo dimostro poco. In fondo sono convinta che solo con la gusta dose di determinazione, convinzione e persino durezza si possa raggiungere l’eccellenza.

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“Facciamo oli che ci devono emozionare” dice Nicolangelo.  “I nostri clienti devono essere assaggiatori feroci”. Ma, per quanto si possa essere feroci, è difficile muovere obiezioni a prodotti che fanno costantemente incetta di premi. Non è conformismo, è consapevolezza. Gli oli di Marsicani nascono dai suoi 60 ettari circa di ulivi delle cultivar frantoio, pisciottana, leccino, da un’incessante ricerca e da uno spirito che Nicolangelo stesso definisce di “sfida continua”. Il prodotto di punta è l’Algoritmo, l’olio DOP Cilento ottenuto da olive frantoio in purezza. All’identità cilentana è dedicato il Plusvalore, di sola pisciottana, quell’oliva considerata simbolo del territorio della quale, paradossalmente, si curano in pochi, se non a parole: ha una bassa resa, in buona parte rimane sugli alberi e la sua coltivazione è solo parzialmente meccanizzabile. E poi c’è l’olio bio, a base di coratina, acquistata da un coltivatore di fiducia. Nuova sfida, fresca nata, l’itrana, che finisce in un olio che si chiamerà Alter Ego.
E poi le olive da mensa: la Campania ne è tra le maggiori consumatrici ma ne trasforma pochissime. Per superare il paradosso, Nicolangelo sta allestendo un laboratorio apposito.
La coltivazione qui è in buona parte meccanizzata (fatta eccezione per la pisciottana che, come dicevo, non si presta ad una totale meccanizzazione). Dalla raccolta alla molitura trascorre poco più del tempo necessario a far arrivare le olive dal campo al frantoio. La dedizione è massima, la mente sempre in movimento, dietro quest’esperienza produttiva esemplare che rischia però di restare sempre più isolata.

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Sbocconcelliamo un piatto di salumi eccellenti prodotti dall’azienda Cellito di Sicilì, manualmente e senza l’uso di alcun conservante che non sia il sale, seduti a un tavolo dell’Ustaria Rosella, nel centro del paese, che ci mette accanto il suo pane fatto con grani antichi coltivati nel basso Cilento, e Nicolangelo continua a parlare di una filiera che va ripensata, perché in nessun passaggio c’è un controllo qualità. Solo ristrutturandola sarebbe possibile provare a produrre olio che sia non solo di alta gamma, ma anche abbondante nelle quantità, in modo da abbattere i prezzi e riuscire ad entrare in tutte le famiglie, nei ristoranti, nelle pizzerie, anziché cercare palliativi che non garantiscono nulla (come la dicitura “100% italiano” in etichetta) o vagheggiare inutili politiche protezionistiche. La sola speranza sta in questo e nella ricerca, nella competizione, nel confronto che consentirebbero di valorizzare il patrimonio eccezionale che, un po’ immeritatamente, ci ritroviamo.

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Contrada Croceviale, 84030 Morigerati (SA)
Email: frantoio@marsicani.com
Tel.: + 39 338 290 6364


Informazioni sull'autrice

giovanna esposito

Napoletana, scrivo di cibo dal 2008; ho cominciato con un blog di cucina, Lost in kitchen, poi, dal 2011 al 2016, sono stata tra i redattori del web magazine Gastronomia Mediterranea.
Nel 2015 ho pubblicato per Guido Tommasi Editore il volume "Gli aristopiatti. Storie e ricette della cucina aristocratica italiana", scritto a quattro mani con Lydia Capasso e illustrato da Gianluca Biscalchin. Con la stessa "squadra", ho pubblicato nell'aprile 2017 "Santa Pietanza. Tradizioni e ricette dei santi e delle loro feste". A settembre 2017 è uscito il piccolo ricettario "Pasta al forno", scritto con Lydia Capasso e con fotografie di Virginia Portioli, sempre per i tipi di Guido Tommasi.
Sono maestra assaggiatrice Onaf.

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