C’è stato un tempo, non molto remoto, in cui trovare un formaggio che non fosse Emmentaler o stracchino industriale, una pasta artigianale, una conserva particolare era un’impresa talmente disperata da far passare la voglia e la fantasia a chiunque. In quel tempo, Sagra, la bottega di Salvatore Lista e di sua moglie Grazia, è stata una luce nella fitta oscurità partenopea.
C’erano, allora, alcuni gloriosi negozi di gastronomia, ma poco inclini, per la verità, a fare ricerca; più propensi a puntare sulle certezze, sull’arcinoto, che ad impegnarsi nello scovare e stanare le minuscole produzioni di qualità, con la fatica e il rischio che ciò comporta. Ci si andava per il cibo delle grandi occasioni, per quel cibo di lusso che potremmo definire standard, noto ovunque e uguale ovunque, da Bolzano a Taormina.
Cominciata come la personale sfida di un rappresentante di prodotti alimentari, determinato a mettere a frutto le conoscenze acquisite portando in città il tipico più autentico, Sagra è poi diventata un punto di riferimento e, a prezzo di sacrifici e di impegno, la meta di chi non si accontenta del prodotto che si trova in ogni negozio, della medietà che spesso coincide con la mediocrità. Nel periodo delle feste, i più ci vanno in pellegrinaggio per comprare quel formaggio o quel salume insolito che si può regalare facendo bella figura, ma durante il resto dell’anno la processione di clienti è fatta di amanti del buono capaci di capire che un caciocavallo non vale l’altro e un prosciutto non è comunque un prosciutto, e che qui trovano, oltre alla qualità, la passione di chi spende la vita a selezionare, e sa spiegarti ciò che assaggi perché si è preso la briga di assaggiarlo prima di te, di conoscerlo, di farselo raccontare.
Il punto di forza di Salvatore Lista è il rapporto con i produttori. Se li va a cercare nel tempo libero, li raggiunge nei paesini più sperduti, e si fa convincere non solo dal gusto e dall’artigianalità sapiente, ma anche dalle storie che hanno alle spalle. Salvatore è un appassionato delle piccole produzioni familiari, del “circolo magico” fatto di persone, prima che di tecniche e materie, da cui un formaggio o una conserva nascono. Insomma, gli sta a cuore l’identità del prodotto, perché quando questo ha alle spalle un contesto familiare, quando è espressione di un territorio e della sua tradizione, non rischia di snaturarsi e di essere inflazionato.
Dalle prime fiere in cui si avvicinava a salumi e formaggi sconosciuti lasciandosi condurre dalle guide ai legami stretti personalmente con chi produce, la strada di Salvatore è stata lunga ma fruttuosa: è anche merito suo se oggi in città la cultura dei sapori è cresciuta. E per quanto non sia ancora abbastanza diffusa, a titolo personale posso dire che continuo a conoscere cose nuove grazie alle mie visite da Sagra. Le ultime? Le confetture de Il Poggio del Picchio e il Plaisentif, il cosiddetto “formaggio delle viole” che viene dalla val Chisone e dalla val Susa; ma prima ancora il conciato di San Vittore di Loreto Pacitti, per esempio. La prossima? Il caciocavallo podolico del Gargano della Fattoria Fiorentino, di cui Salvatore mi ha parlato con entusiasmo e che mi propongo di assaggiare presto. Perché dentro Sagra c’è sempre da imparare, e le occasioni non mancano: basta entrarci con la disponibilità a chiedere e a farsi stupire, o approfittare dell’aperitivo serale o dei periodici eventi che si trasformano in piccole feste della bontà in cui si può parlare direttamente coi produttori e farsi inebriare dai sapori e dai profumi.
C’è anche chi da Sagra va a cercare solo cose “strane” per stupire, e chi si preoccupa unicamente del prezzo; fa parte del gioco, è da mettere in conto. Ma la goccia, si sa, scava la roccia e, come recita un proverbio napoletano, “ricette ‘o pappecio ‘nfaccia ‘a noce: damme ‘o tiempo ca te spertoso” (disse il verme alla noce: dammi tempo, che ti buco”)… Con il tempo, la pazienza e la determinazione, insomma, i risultati arrivano.
Anche se il negozio è un po’ nascosto in una strada senza uscita. Anche se Salvatore è poco mediatico, e a dirlo è lui stesso. Diciamo che il suo essere social consiste in una socialità tanto vera quanto ormai poco praticata: nel parlare con le persone, che siano clienti o produttori.
Strana cosa, nevvero?
Regalatevi una visita in negozio, se ancora non lo avete fatto. Vi sarà davvero difficile uscirne a mani vuote, ma chi si siederà alla vostra tavola vi ringrazierà. Il rischio è che ritorni spesso.
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