L’inizio della storia, è presto detto, risale a un anno fa, più o meno.
È stato allora che ho conosciuto la cucina di Lorenzo Montoro, giovane chef dell’Osteria Al Paese di Nocera Inferiore, ed è stato subito amore.
Lorenzo ha una mano felice, ha buon gusto ed eleganza, non fa mai prevalere la tecnica sull’ingrediente e, per accorciare le lodi che potrei dedicargli, diciamo solo che è diventato uno dei due o tre cuochi che preferisco, in Campania.
La prosecuzione della vicenda si colloca in una piovosa serata dello scorso inverno. Mi trovavo a cena al Convento di Cetara, e Pasquale Torrente mi diede il benvenuto con una misticanza condita con olio, limone e colatura di alici.
Scordatevi le insalatine miste tristanzuole che ispirano solo umori – anzi, malumori – penitenziali: si trattava di un’aerea e ricca composizione di erbe e foglie profumate, e il connubio con il condimento ne faceva un piccolo capolavoro di freschezza e piacevolezza. Avendone sentito parlare, chiesi se fosse quella prodotta dai Montoro e, sì, lo era.
Da allora ebbi in mente di visitare l’azienda agricola della famiglia di Lorenzo, la MontoroErbe.
E alla fine l’ho fatto, grazie a Daniela che si è attivata, conquistata anche lei prima dalla cucina di Lorenzo e poi da quelle erbe, quei fiori eduli e quelle verdure che lui utilizza nei suoi piatti.
A Lavorate, frazione di Sarno, la famiglia Montoro coltiva da tanto tempo quella terra che si affaccia su Santa Marina, una delle sorgenti del fiume Sarno, tristemente famoso per essere uno dei più inquinati d’Italia; ma là, prima che diventi il fiume vero e proprio, ancora trasparente, ricco di flora acquatica e di vita, tra uccelli, rane, pesci.
Terra che si stende al confine tra il territorio di Sarno e quello di Nocera, dove è nato il pomodoro San Marzano; e qui ci va un inchino deferente ad uno dei prodotti più straordinari che la Campania abbia partorito nei secoli.
Parlare con Lorenzo, con il fratello Dario e con il papà Giuseppe è un’esperienza difficilmente dimenticabile: poche volte mi sono imbattuta in persone che incarnino in modo così ammirevole lo spirito della loro terra, che con quella terra siano tutt’uno, che riescano a comunicare il loro amore e il loro legame con essa in ogni parola, con gli sguardi che le rivolgono, con le tante storie che hanno da raccontare.
Parliamo di luoghi benedetti dal vulcano che, se ha fatto danni, ha anche fertilizzato il terreno in un modo unico; di un territorio che potrebbe essere tra i più felix del mondo, ma in cui solo pochi hanno il coraggio di abbandonare un’agricoltura standardizzata, sporca e finalizzata alla vendita all’industria conserviera di prodotti dalla grossa resa e dalla notevole resistenza. Dalla altrettanto notevole assenza di gusto, si intende.
Nella piccola Masseria Pigliuocco della famiglia Montoro si pratica un’agricoltura pulita, scevra dalla chimica e votata soprattutto alla ricerca di ogni genere di erba commestibile: questa prerogativa inusuale nasce dalla passione di Dario, incuriosito praticamente da tutto ciò che cresce, che non finisce mai di ricercare nuove essenze da piantare. “Tutto è commestibile”, dice, suscitando stupore in una ottusa cittadina come me con il vantare il gusto delle foglie di nasturzio o le proprietà addensanti di quelle del malvone, tutte piante che avrei detto ornamentali e basta.
Mentre percorriamo le tante file di piantine, su cui schiene operose si curvano a raccogliere fogliolina per fogliolina da mettere in vaschette, scopro che persino l’aptenia che ho sul balcone si può mangiare, e una cosa mi colpisce, sopra tutte: la varietà incredibile in uno spazio ristretto, l’assortimento che rende la misticanza sempre diversa.
Certo, ci sono anche peperoni e melanzane, il San Marzano, ovviamente, gli ortaggi di varietà strettamente locali e i fiori eduli. E i formati mignon di cipollotti e finocchi, di carote e rape, destinati a conferire una grazia tutta speciale ai piatti dei migliori ristoranti.
Ma in primo luogo ci sono le persone, perché la virtù di un posto come questo sta nella dedizione, nella resistenza, nel lavoro che è duro e c’è poco da farci, ma ricompensa: chiedo a Dario del suo amore per le erbe, di come sia nato, e mi risponde solo: “Perché questo lavoro mi tiene vivo ogni giorno, tutto il giorno”. E credo non ci sia da aggiungere nulla.
Se il circo impazzito che si agita intorno all’enogastronomia può essere ancora tollerabile, è solo perché si può incontrare gente come Dario, Lorenzo e Giuseppe, che starei ad ascoltare incantata per ore.
MontoroErbe
Lavorate di Sarno
Tel. 329 5687688
info@montoroerbe.it